“Io sono un animale libero”,
ruggisce la voce di Forlani nella pièce che ripercorre l’esistenza del pittore polacco
Mostra, video, letture ci avevano preparato a questo, alla storia di un artista che trova in Italia (né primo né ultimo) una felice vena creativa.
In un angolo di Lombardia, nella terra gentile, “di violini”, tanto simile alla patria paterna, il polacco Morvay ha trascorso gli anni centrali della vita.
Ma dove la si trova, l’ispirazione può, altrettanto improvvisamente, venire a mancare. Quello che la cronologia dissolve, quasi in effetto flou, è la partenza di Gabriel Stanislas da Casalmaggiore. Ed è proprio questo il punto su cui Cara… Mella ha lavorato, sulla base di un testo di Alberto Macchi, regalando uno spettacolo capace, in poco meno di un’ora, di dare a conoscere quello che nessun resoconto storico saprebbe dire.
“La mia impressione” dice Piero Forlani, che veste i panni del pittore polacco, “è che la vita interiore di Morvay non sia stata rappresentata con pienezza sulla tela”. Le opere, con i colori accesi e solari meglio rendono l’idea di un artista “filosofo”, distaccato, sereno. D’altra parte, è con il soprannome “Filosofo” che Gabriel Stanislas diviene noto nei soggiorni francesi e spagnoli.
Passioni come uragani, invece, attraversano l’uomo e risvegliano l’artista decidendo di una vita la cui sola ragion d’essere è la creazione. Poco conta quanto accade intorno, poco contano le persone con cui dividere in tempo: “Sono nato per stare solo tra compagni sempre diversi, con nel cuore il ricordo degli amici più cari”.
Scalpitando, maledicendo, ubriacandosi fino allo stordimento Morvay attende di essere visitato dal suo Genio e l’interpretazione di Forlani rende con vivezza il senso dell’attesa inquieta e lacerante.
Il sipario si alza sulla stanza della locanda “Il Bersagliere” di Casalmaggiore, ove è alloggiato Gabriel. La cui regia di Fabio Tedoldi ne rivede la biografia, badando soprattutto all’espressione del carattere e della visione del mondo. Si trascorre con rapidità dal presente al passato: non manca l’allusione a un’opera teatrale di pugno dello stesso Morvay, così come la sua ambizione di mettere in scena un lavoro dedicato a Caravaggio, al quale si sente vicino, “senza però” ironizza “aver ucciso nessuno”.

“Forse per scelta, forse per incapacità, non è mai “andato fino in fondo” preferendo, nella vita, esser spettatore: ma quanto partecipe e coinvolto!” commenta ancora Forlani. Gli sono accanto Monica Gilardetti, nel ruolo di “Lei”, simbolo di un universo femminile la cui sensualità abbaglia e seduce Morvay e Mauro Bonomelli “Lui”, in rappresentanza di compagni, amici, pubblico di sesso maschile con cui il pittore ha a che fare.
Nella rilettura di Cara… Mella, il finale del testo di Macchi è stato modificato e gli scarti cronologici sono ben supportati una scenografia essenziale eppure sufficiente per mettere in moto la nostra intuizione, mentre seguiamo l’azione. Ottimo il contributo delle luci, curate da Alessandro Barbieri e felice la presenza di Leonella Musitano, figura candida a mezzo tra pierrot e dandy, che sottolinea con lievi movimenti di danza in scena e immediatamente fuori i passaggi salienti e suggestioni musicali scelte tra brani non semplici di Rachmaninov e il più moderno sentire di Bigazzi e Falagiani (la colonna sonora di Mediterraneo).

Lo spettacolo ha senz’altro toccato le corde dell’emozione, ma ha un merito ulteriore. Potevamo considerare Morvay un personaggio familiare da qualche mese a questa parte, ma ancora mancava chi andasse a sviscerarne l’essenza, a ritrovarne l’indole, a mettere in scena senza pudore le debolezze e i voli altissimi di un’anima in viaggio per destino: “Non riesco a capire come alcuni uomini possano stare in laboratori chiusi, mentre fuori la luce pulsa”.
Abbiamo visto sabato sera un ritratto di Gabriel Stanislas Morvay che va idealmente a completare il percorso umano e artistico testimoniato dalle opere nella bella esposizione in Villa Badia.

RECENSIONE
di Valeria Gasperi